Capire come fare, sapendo com’è fatto

Negli anni abbiamo parlato molto di materie prime vegetali, soffermandoci soprattutto sugli aspetti macroscopici e sulle proprietà organolettiche. In questo articolo, aguzzeremo la vista ed entreremo nella materia, esaminandola nel dettaglio, allo scopo di approfondire la conoscenza dei meccanismi di estrazione e diventarne consapevoli padroni.

Una specie vegetale è formata da vari tessuti, a loro volta composti da numerosissime cellule diverse.

Tessuto vegetale composto da cellule. I granuli verdi sono i cloroplasti, contenenti la clorofilla, il pigmento di colore verde responsabile della fotosintesi clorofilliana.

Una singola cellula può svolgere una o più funzioni. Più cellule, organizzate in tessuti, integrano le loro funzioni per lo svolgimento di compiti più complessi.
Esistono tessuti di varia natura (embrionali, tegumentali, parenchimatici, conduttori, meccanici e secretori) che nel vegetale svolgono funzioni diverse. Questi si organizzano per formare, per esempio, fusti, foglie, radici e fiori.

La cellula è composta dalle membrane, dal citoplasma, dal nucleo, dai mitocondri, dai cloroplasti e da altri organuli, tutti rappresentati nell’immagine sottostante.

Cellula vegetale. Sono rappresentati in ordine: 1 – Il vacuolo; 2 – Il cloroplasto; 3 – La parete cellulare; 4 – I plastidi; 5 – Il nucleo; 6 – Il reticolo endoplasmatico rugoso; 7 – Il reticolo endoplasmatico liscio; 8 – L’apparato di Golgi; 9 – La membrana citoplasmatica; 10 – Il mitocondrio

Per i nostri scopi, è sufficiente sapere che ciascuna cellula è delimitata da una membrana plasmatica (9), formata da uno strato di fosfolipidi, e, più esternamente, da una parete cellulare (3), formata principalmente da cellulosa. All’interno della cellula, immersi in un complesso fluido, il citoplasma, sono presenti aree funzionali circoscritte da membrane: gli organuli.

Alcuni organuli sono particolarmente interessanti, perché contengono le molecole odorose e gustose, riguardo alle quali tanto rivolgiamo la nostra attenzione.
Il più voluminoso è il vacuolo (1), delimitato da una particolare membrana, detta tonoplasto, e che può contenere sostanze di varia natura (gli inclusi) concentrate in un contenuto che viene definito succo vacuolare. Tra queste sostanze sono presenti i composti terpenici (come il mentolo, il limonene e l’eucaliptolo), i composti fenolici (come i pigmenti naturali, i tannini e molte molecole caratterizzanti il gusto tipico delle spezie, come la vanillina della bacca di vaniglia, il gingerolo della radice di zenzero e la cinnamaldeide della corteccia di cannella) e gli alcaloidi (tra tutti, la nicotina del tabacco).
Un problema per noi rilevante è che nei vacuoli possono essere presenti oli, resine, sali inorganici, proteine, amminoacidi, zuccheri e depositi solidi cristallini, sostanze che ci costringono a spendere molte energie nello studio di tecniche di purificazione dell’aroma sempre più efficaci. Fortunatamente, la maggior parte di queste sostanze è nulla o scarsamente solubile nel glicole propilenico, principale vettore dei nostri aromi.

In realtà, la condizione i cui si trovano queste sostanze è tutt’altro che statica. Infatti, esse possono essere mobilitate dal vacuolo e portate agli spazi intercellulari, fino anche a raggiungere la superficie libera del vegetale. A titolo esemplificativo, il mentolo prodotto dalla menta piperita è avvertibile a distanza, questo perché viene mobilitato dai vacuoli fino alla superficie libera delle foglie, da dove volatilizza nell’aria. Questo meccanismo è sfruttato da alcune specie per attirare gli insetti impollinatori o da altre allo scopo di allontanare ospiti indesiderati (pensiamo alla nicotina, che è primariamente un antiparassitario naturale).

Quando estraiamo una specie vegetale, tramite macerazione o per mezzo di altre tecniche, creiamo un flusso di sostanze, che dalla superficie libera del vegetale, dagli spazi intercellulari e dai compartimenti cellulari delle varie cellule (principalmente dal vacuolo, come detto) convergono nel solvente. Le sostanze depositate sulla superficie libera del vegetale entrano in soluzione rapidamente, mentre quelle compartimentalizzate richiedono un contatto solido-liquido molto più prolungato. Questo perchè il solvente deve diffondere nelle profondità del tessuto vegetale ed attraversare le varie membrane cellulari. Ed è così che il solvente, prima di raggiungere l’interno del vacuolo di una cellula, deve farsi strada in un labirinto di interstizi ed attraversare, in ordine, la parete cellulare, la membrana plasmatica, il citoplasma ed il tonoplasto. Ecco perché una macerazione semplice in glicole propilenico può definirsi soddisfacente solo dopo mesi.

La complessa struttura anatomica di una foglia vista in sezione. Il solvente utilizzato nell’estrazione attraversa percorsi tortuosi ed incontra molteplici barriere.

La velocità dell’estrazione dipende da una serie di fattori:

  • Viscosità del solvente: il glicole propilenico, per esempio, è molto più viscoso dell’alcol etilico e fatica molto a farsi strada nei tessuti e nelle cellule, le cui membrane sono semipermeabili. È per questo che con l’etanolo sono mediamente sufficienti tre settimane di macerazione, mentre con il glicole propilenico sono necessari almeno tre mesi.
  • Temperatura del solvente: riscaldato, un solvente viscoso diventa molto più fluido. A circa 40-50°C, la viscosità del glicole propilenico diventa quasi pari a quella dell’acqua. Inoltre, alcune sostanze aumentano la propria solubilità con l’aumentare della temperatura. Di contro, non si può eccedere nel riscaldamento, per la possibilità che alcune sostanze particolarmente termolabili potrebbero risentire del calore.
  • Natura del solvente: qui ci addentriamo in un discorso che, da solo, meriterebbe un articolo intero. Per ora, possiamo accontentarci di sapere che alcuni solventi tendono ad essere più efficaci di altri. Alcuni si limitano a sciogliere sostanze più idrosolubili ed altri a sciogliere quelle più liposolubili. Il glicole propilenico occupa una posizione abbastanza baricentrica, escludendo in modo significativo sostanze fortemente idrosolubili, come gli zuccheri, e sostanze altamente liposolubili, come resine e cere. L’alcol etilico è più sbilanciato verso l’estremo liposolubile, ragione per cui troviamo più difficoltà nel ripulire gli aromi altamente concentrati ottenuti con tecniche estrattive che prevedono una prima fase che sfrutta l’azione dell’alcol etilico. Dal canto suo, l’alcol etilico ha la caratteristica di interagire chimicamente con le membrane fosfolipidiche, facilitando i fenomeni diffusivi.
  • Agitazione del solvente intorno al materiale vegetale: quando un solvente si muove intorno alla superficie libera del vegetale che si vuole estrarre, si evita la formazione di zone sovrasature di soluti e questo favorisce la prosecuzione dell’estrazione.
  • Aumento della velocità di diffusione del solvente: la macerazione semplice muove il solvente nel tessuto per diffusione passiva, come farebbe uno sciroppo versato nell’acqua, se non lo mescolassimo. Un solvente “spinto” all’interno del tessuto vegetale abbrevia i tempi di estrazione e ne aumenta l’efficacia. Il Naviglio Estrattore e la tecnica di estrazione ultrasuono-assistita funzionano in questo modo, determinando, nelle due direzioni (ulteriore particolarità), un flusso forzato ed accelerato di solvente all’interno del tessuto vegetale e delle cellule.
  • Destrutturazione dell’anatomia vegetale: il metodo più semplice è la triturazione fine del materiale vegetale. In questo modo, si ricavano nuovi passaggi per il solvente, lungo i bordi di taglio, aumentando le porte d’accesso ed accorciando le distanze che questo deve percorrere. Se questo accorgimento funziona con le foglie, diventa decisivo per semi, radici e fusti, che, nella loro forma originale, o non verrebbero estratti o necessiterebbero di mesi o anni di macerazione semplice.
    La destrutturazione anatomica può essere spinta oltre le strutture macroscopiche ed intervenire su quelle cellulari e subcellulari. Per esempio, l’estrazione ultrasuono-assistita determina un bombardamento delle membrane, perforandole in più punti e favorendo la diffusione di solvente e soluti. Questa destrutturazione di livello molecolare può essere ottenuta, in certa misura, tramite semplici accorgimenti chimici. Inumidire preventivamente il vegetale con alcol etilico, per esempio, può rimuovere molecole alcol-solubili dalle membrane, creando porosità utili ad agevolare la successiva estrazione con un solvente più viscoso. Volendo spingersi oltre, si potrebbe ricorrere ad accorgimenti biochimici, come la digestione enzimatica di alcune molecole complesse, come la pectina e la cellulosa, particolarmente abbondanti nel tessuto vegetale e principali ostacoli ai processi estrattivi, ma di questo ne parleremo abbondantemente e in un futuro molto prossimo.

Questo articolo non esaurisce sicuramente l’argomento, ma vuole essere spunto di un ulteriore lavoro di approfondimento, che ciascuno potrà affrontare attraverso testi semplici di biologia vegetale o per mezzo di quella vasta fonte di informazioni scientifiche che può essere internet. Chi scrive assicura che avere padronanza di questo argomento fa davvero la differenza.



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